Il G7 di Taormina del 26 e 27 maggio si è concluso con l’unanime giudizio di un semi-fallimento; in realtà si è chiuso con una evidente affermazione della politica statunitense, che non ha concesso nulla o quasi in materia di ambiente, protezionismo, migranti e ha confermato i legami tra economia dei paesi più ricchi e guerra. Non che ci fosse molto da concedere, visto che quel che chiedevano, soprattutto gli europei, rientrava sempre all’interno di visioni e pratiche neoliberiste e guerrafondaie, ma, insomma, agli Stati Uniti di Donald Trump non interessano accordi o patti cui poi devono attenersi ma tirare avanti per la loro strada, regolare i conti con accordi bilaterali, con un occhio alla Russia, il grande assente-presente al vertice.
Inevitabile e scontato il documento unitario contro il terrorismo, con l’attentato di Manchester ancora caldo, terrorismo che mette tutti d’accordo anche come chiave di lettura del quadro internazionale e giustifica guerre in Siria e Afghanistan interventi in Nord Africa, le politiche antimigratorie e la stretta in materia di sicurezza cibernetica.
Un G7 voluto in Sicilia per il ruolo dell’isola nel cuore del Mediterraneo, funzionale e diremmo anche, fondamentale, per le strategie militari che interessano l’area stessa e quelle limitrofe del Medio Oriente e del Golfo, dalle guerre sul campo alla difesa della Fortezza Europa. E voluto a Taormina, non a caso l’unico borgo che gli arabi qualche secolo fa non riuscirono a conquistare per la sua posizione arroccata sul mare Jonio.
Sin dallo scorso autunno tutte le realtà politiche e sociali presenti sull’isola si sono confrontate sui temi del G7 e sulle risposte da organizzare; si sono svolte assemblee unitarie per alcuni mesi ove si è registrata una sostanziale convergenza sulla lettura del vertice e dei suoi contenuti, mentre sono emerse divergenze sull’approdo finale della protesta fra chi preferiva una manifestazione a Taormina e chi, in un primo momento, proponeva Niscemi ritenendo impraticabile la scelta di Taormina. Stiamo parlando degli autonomi di Palermo, ciò che resta della rete No Ponte, parte dei Cobas ed altre situazioni minori, da un lato, e del coordinamento dei comitati NO MUOS, di diverse realtà associative, soprattutto catanesi, e della FAS. Una divergenza che, purtroppo, si è andata acuendo nelle ultime settimane rendendo vani gli approcci miranti a ristabilire una collaborazione fattiva, che si è andata sfaldando anche sul percorso verso il 27 maggio, nonostante proprio su questo si fosse registrata una prima convergenza.
Potremmo parlare di tentativi egemonici, di vecchie ruggini accumulate nella lotta NO MUOS: niente di nuovo sotto il sole, almeno per chi, come noi anarchici e quanti hanno collaborato con noi, non vedeva nel G7 che un episodio con cui fare i conti, ma solo un episodio che avrebbe potuto rafforzare le nostre battaglie, a partire da quella contro la militarizzazione del territorio, e non certo una vetrina per gli antagonisti, specchio di quella più grande riservata i potenti.
Ecco che il percorso separato si è andato sviluppando nei territori secondo caratteristiche differenti, ma se un bilancio “unitario” si può fare, esso ci porta ad affermare che è stata fatta una grande massa di controinformazione nelle città e nei paesi, e che, al di là delle divergenze, forze sociali e politiche si sono mobilitate, attivate o riattivate per questa occasione. Auspichiamo solo che questi elementi positivi prevalgano, nel prossimo futuro, su quelli negativi emersi e si mettano a disposizione della necessità di ricostruire una forte conflittualità.
Niscemi, sede naturale delle iniziative contro la guerra, ha visto un’assemblea regionale il 23 aprile dibattere a largo raggio sul senso del militarismo e dell’imperialismo nei vari aspetti della vita sociale, e il 25 maggio ha incontrato in piazza e al chiuso Carovane Migranti che anche quest’anno ha attraversato l’isola portando nelle piazze il dramma delle migrazioni nel Mondo. L’unico intervento a Taormina si è potuto verificare il 13 maggio, in una piazza periferica e superblindata; un altro momento significativo è stato il 20 maggio ad Augusta, cittadina sede dell’approdo della VI Flotta americana e sede di uno dei più importanti depositi militari NATO e USA.
Frattanto sull’isola non piovevano i finanziamenti promessi alla popolazione, ma progressivamente si affermava una occupazione del territorio con la presenza di oltre 10.000 tra militari e varie forze di polizia, aeroporti e coste militarizzati, divieto di accesso nella cittadina prescelta, nei giorni attorno al vertice, e limitazioni alla stessa popolazione residente, munita di badge per potersi muovere nella propria località. Alla vigilia della due giorni sono piovuti invece alcuni fogli di via per compagni che tentavano di recarsi in Sicilia. Una grande prova generale di attuazione del decreto Minniti.
Infine nessuna manifestazione a Taormina è stata concessa, ma un corteo a Giardini Naxos, diventato presto unitario, anche se fino allo stesso 26 maggio le iniziative sono proseguite separate, e fra queste, un’assemblea di attivisti a Giardini e un controvertice dei popoli a Catania con interventi di attivisti guatemalteche, messicani, africani, di realtà antirazziste, femministe, antimafia, no muos.
Sabato 27 in una Giardini Naxos letteralmente occupata da forze militari di terra, di cielo e di mare, con tutti i negozi chiusi e con ingressi e vetrine coperti da fogli di lamiere o strati di truciolato (il sindaco ne aveva ordinato la chiusura, assieme alle scuole), 2/3000 compagni sono sfilati in un clima festoso, osservati dagli abitanti arroccati sui balconi o ai bordi del lungomare. Come sempre accade in queste occasioni, si pompa al massimo la paura dei black bloc per scoraggiare la partecipazione e isolare i manifestanti. Nonostante gli strettissimi controlli lungo le strade dell’isola e al casello autostradale di Giardini, alla fine una decina di pullmans e centinaia di auto sono riusciti ad entrare nella cittadina ionica.
In questi casi, dati i numeri relativamente bassi, a prevalere nei colpi d’occhio sono le decine di partiti comunisti con i loro vessilli, a scapito delle realtà territoriali e di base che pure erano numerose e attive; la creatività e la ricchezza di situazioni comunque sono state oggetto di attenzione da parte della numerosa schiera di giornalisti che hanno intervistato e ripreso le ragioni del NO al G7, mentre da parte della stessa popolazione non pochi sono stati i segnali di solidarietà.
Un corteo tranquillo, che non ha dato adito a provocazioni e che ha lasciato una traccia positiva con il suo passaggio su un territorio che ha subìto il peso di una macchina organizzativa estremamente opprimente, che ha svuotato alberghi e ristoranti e tutto il sistema che qui ruota attorno al turismo, rendendo la vita degli abitanti a tratti anche un incubo.
Al termine una inutile scaramuccia tra la testa del corteo e il blocco della celere, quasi a voler in qualche modo sigillare in una maniera dopotutto scontata ma vendibile, un percorso che, per molti, mirava già oltre i due giorni, verso quanto ci aspetta in questa terra schiava di una presenza militare esorbitante, laboratorio di infami politiche contro i migranti, schiacciata da una crisi economica interminabile. Al di fuori dei riflettori internazionali, bisogna continuare a stare con le maniche rimboccate, e rafforzare le tante resistenze che, nel tempo, potranno ostacolare i progetti del capitale come in questi anni sono riusciti a fare con il MUOS.
E il primo luglio si torna a Niscemi con una nuova manifestazione nazionale per rilanciare, a partire da questa, la conflittualità generale in Sicilia e nel Sud.
Pippo Gurrieri